O artigo que corresponde ao
título acima, de Paolo Borgognone, jornalista, critico musical, e barítono, está disponível em idioma italiano
no endereço eletrônico a seguir: http://www.civg.it/index.php?option=com_multicategories&view=article&id=42:filosofia-della-disinformazione-strategica&catid=16&Itemid=117
FILOSOFIA DELLA DISINFORMAZIONE
STRATEGICA
Paolo Borgognone
La costruzione geopolitica
e sociologica del Nuovo Ordine Mondiale posta in essere dagli interessi privati
legati alle multinazionali occidentali, agli istituti finanziari
sovranazionali, al complesso militare industriale ed al Tesoro degli Stati Uniti,
tramite il braccio armato della Nato, richiede il consenso, o per lo meno la
non opposizione da parte delle opinioni pubbliche dei Paesi occidentali, i
Paesi cosiddetti «civilizzati».
A tal fine si rende necessaria
una operazione strategica e pianificata di manipolazione a mezzo stampa degli
eventi e delle dinamiche politiche, economiche e sociali, connesse agli scenari
di cui sopra. Scrive in merito il filosofo Domenico Losurdo:
Già alla fine degli anni
‘90 sull’«International Herald Tribune» si poteva leggere: «Le nuove tecnologie
hanno cambiato la politica internazionale»; chi era in grado di controllarle
vedeva aumentare a dismisura il suo potere e la sua capacità di
destabilizzazione dei paesi più deboli e tecnologicamente meno avanzati. Siamo
in presenza di un nuovo capitolo di guerra psicologica[1].
La cosiddetta infowar ha
radici assai antiche (Alessandro Magno, Roma), ma è certamente con l'avvento
dei mezzi di comunicazione di massa che trova il proprio compimento. In
particolare, nella storia del secolo XX si è assistito ad una sistematica opera
di disinformazione delle realtà politiche e di sistema scaturite
dall'esperienza storica della decolonizzazione, intesa come azione politica
tesa alla liberazione nazionale e sociale dal regime di servaggio imposto ai
popoli di Africa, Asia, America Latina e Vicino Oriente dall'Occidente
imperialista e «bianco».
Dopo il 1917, l'Unione Sovietica,
l'impero eurasiatico generatosi dalla rivoluzione russa, un processo
storico di lunga durata, non interamente circoscrivibile all'ottobre 1917,
posto in essere contro il dispotismo ed il feudalesimo zarista ed
aristocratico, ma anche contro qualsivoglia pulsione borghese e cosmopolita
interna alle fazioni «occidentaliste» del “nascente” panorama politico russo, è
stata vittima di un'operazione mediatica e politica, tesa alla satanizzazione non
tanto dell'esperienza del “comunismo”, un'ideologia politica di derivazione
occidentale, quanto della prospettiva di progressiva insorgenza
geopolitica del tradizionalismo russo. La despecificazione razziale ad elemento
barbarico ed «asiatico» del popolo russo[2], soggetto etnico-nazionale costituente e prevalente
all'interno dell'impero geopolitico edificato sulle ceneri dello zarismo e del
nazismo sconfitti in Russia ed in Europa dopo il 1917 ed il 1945, si è
configurata come una strategia tesa ad influenzare opinioni, emozioni ed
atteggiamenti delle opinioni pubbliche occidentali, nei confronti del «nemico
sovietico». L'Urss fu definita da Ronald Reagan, il «grande comunicatore»,
l'«Impero del Male». I russi furono annoverati tout court nella
categoria di bolscevichi, atei e materialisti. Settori rilevanti
dell'emigrazione «bianca», menscevica e dei «dissidenti» di orientamento
filo-occidentale, vennero utilizzati dalla stampa e dalle tv sotto controllo
degli interessi privati delle varie lobby economiche appartenenti al
«campo libero», quali strumento di persuasione politica e culturale. Figure e
personaggi come Andrej Sacharov, Andrej Sinjavskij, Jurij Daniel' e Vladimir
Bukovskij, il cui pensiero politico ed ideologia di riferimento, il liberalismo
nelle sue varie forme declinate, godeva di scarso o nullo seguito in Urss,
furono de facto assimilati dai media occidentali quali rappresentanti
delle legittime e maggioritarie istanze di «liberazione» dei popoli «schiavi»
della «dittatura rossa». I “crimini di Stalin” subirono un processo di
decontestualizzazione geopolitica ed economico-sociale, finendo per essere
annoverati nella categoria del «genocidio» posto in essere da un tiranno
«asiatico», «comunista» e «pazzo»[3]. Tra le leadership sovietiche succedutesi dalla morte di Lenin
alla dissoluzione dell'impero, la stampa occidentale considerò legittima
soltanto quella piccolo-borghese ed atlantista di Gorbaciov, Jakovlev,
Shevardnadze ed infine Eltsin (seppure, quest'ultimo, da posizioni di rottura
«da sinistra» con la dirigenza espressione della perestrojka), personalità
di secondo piano all'interno della nomenklatura del Pcus, poste ai
vertici del Partito e dello Stato in virtù di una precisa scelta geopolitica
del Kgb. Dopo lo smantellamento dell'Unione Sovietica, stampa e tv del
cosiddetto «mondo civilizzato» diedero il via ad una martellante campagna di
disinformazione tesa a presentare quali elementi allogeni alla riconquistata
«democrazia russa», le fazioni, i partiti ed i movimenti di ispirazione
patriottica (favorevoli al ripristino della sovranità nazionale attraverso la
riunificazione dello spazio geopolitico sovietico e, contestualmente, ostili
all'introduzione, in Russia, del capitalismo anglo-sassone e dell'american way
of life). La stampa occidentale non ha mai indagato le origini ed i fondamenti
culturali, sociali e di integrazione comunitaria della tradizione russa. Ha
preferito insistere sul tema della russofobia, della slavofobia, mascherata
sotto le spoglie di un residuale quanto ormai in-credibile anticomunismo di
derivazione conservatrice «reaganiana», «liberaldemocratica» o
«radical-libertaria». Il tutto in funzione del consolidamento degli interessi geopolitici
ed economici statunitensi nell'Europa centrorientale e finanche nelle
repubbliche ex-sovietiche (quali Estonia, Lituania, Lettonia, Ucraina e
Georgia), ovvero quella che l'ex-segretario alla Difesa dell'amministrazione di
Bush II, Donald Rumsfeld e l'ideologo neocon Robert Kagan, ebbero a
definire la «Nuova Europa», filo-atlantica ed anti-russa[4]. Tale operazione di disinformazione presenta, nel 2012, il
sistema politico russo come una sorta di «regime antidemocratico», in quanto
l'attuale governo federale intende muovere limitati ma in un certo qual modo
significativi, almeno sul piano strettamente formale, passi in direzione del
recupero dell'indipendenza nazionale, della dignità sociale del popolo e
finanche dell'unità geopolitica dei territori costituenti l'allora impero.
Dopo il 1979, allo stesso modo
che per la Russia dopo la destituzione del potere filo-occidentale e feudale
degli zar, un'analoga operazione di disinformazione e manipolazione (psy-ops)
fu posta in essere ai danni dell'Iran, Repubblica islamica scaturita da una
rivoluzione popolare di vaste dimensioni, finalizzata alla destituzione del
corrotto regime autocratico dello Shah, cane da guardia degli interessi
geopolitici ed economici occidentali in Medioriente, ed alla progressiva
instaurazione di un originale e complesso, quanto discusso (e discutibile),
quanto poco studiato, ordinamento costituzionale definito velayat-e faqih (governo
del giureconsulto), sotto l'egida dell'Imam Khomeini. La rivoluzione del 1979,
una sollevazione contestualmente operata contro il mondialismo e contro il
tradizionalismo quietista caratterizzante importanti settori del “clero”
sciita, rappresentò certamente, tra enormi contraddizioni, uno smacco per le
velleità egemoniche statunitensi (e saudite) nel Vicino Oriente. Da quel
momento, pur avendo in più occasioni dialogato e collaborato a vario titolo con
gli Usa relativamente a questioni relative a scenari geopolitici di vario
interesse, l'Iran è sottoposto ad una sorta di embargo culturale e mediatico,
prima ancora che politico ed economico, da parte dell'Occidente, impegnato a ritrarre
il Paese come uno «Stato totalitario», il cui popolo, sbrigativamente delineato
sotto le spoglie di un'immensa ed articolata massa di giovani desiderosi di
approdare ai lidi dell'americanizzazione, viene tenuto sotto il giogo
repressivo e «fondamentalista» del «regime dei mullah». L'Iran è oggi una
potenza regionale in prospettiva di ascesa nel Vicino Oriente, in grado di
esercitare una propria influenza geostrategica ed economica, nel novero dello
sfruttamento e della gestione di risorse naturali e «mercati». Le radici
ideologiche e culturali del «regime», la portata autentica del consenso sul
quale esso può contare all'interno della società persiana, anche e soprattutto
tra le nuove generazioni, non è un elemento dirimente per i propagandisti della
guerra psicologica. L'importante è favorire la «liberazione» della
società civile» (ossia, dei settori della popolazione iraniana interessati al regime
change) e dell'economia iraniana dalla «tirannia», a tratti veicolata come
«antisemita» e «nazista», degli ayatollah.
I movimenti di liberazione,
autentici, dalla schiavitù coloniale occidentale, che hanno interessato i Paesi
dell'area vicinorientale e nordafricana negli anni Cinquanta e Sessanta del
secolo scorso, si sono caratterizzati per una profonda adesione al socialismo
nazionalista e laico-progressista (nasserismo, baathismo); Egitto (fino al
1978), Libia, Iraq e Siria sono stati fieri avversari, sotto varie forme, del
Nuovo Ordine Mondiale. Il prezzo che i governi di tali Paesi hanno versato
sull'altare della sfida da essi lanciata a tale progetto imperialista, è stato
altissimo. Saddam Hussein, Muammar al Gheddafi, Bashar al Assad, sono ormai
assimilati, nella propaganda del mainstream, ad epigoni di Adolf Hitler;
il presidente jugoslavo Slobodan Milosevic, nel 1998-1999, fu ritratto dal tabloid “di
sinistra” L'Espresso, come una reincarnazione, in sedicesimo, delFuhrer.
Ogni entità politica, partitica, statuale ed ogni dirigente politico i cui
riferimenti culturali, ideologici e programmatici si scontrano con gli interessi
del Nuovo Ordine Mondiale, subisce un processo di demonizzazione mediatica,
propedeutico, nel caso dei leader di tali entità statuali o partitiche, alla
successiva eliminazione fisica (coeva con quella dei popoli da essi governati,
il più delle volte, come nel caso jugoslavo, iraniano e siriano, a seguito di
libere e democratiche elezioni, svoltesi ovviamente nell'ambito di sistemi ed
ordinamenti costituzionali differenti ed originali rispetto alla cosiddetta
«democrazia liberale borghese» anglo-sassone, risalente al XVII secolo) ed alla
conclusiva dannatio memnoriae.
«Comunismo», «nazionalismo»,
«fondamentalismo terrorista», «antisemitismo», sono gli stereotipi lessicali[5] più comunemente utilizzati dai teorici e dai
propagandisti dellainfowar (tra cui spiccano le varie agenzie di public
relations americane, come Ruder & Finn e Hill &
Knowlton) per designare i nemici» del capitalismo e dell'american way of
life.
La filosofia della
disinformazione è alla base dei successivi processi operativi miranti alla
realizzazione concreta di psy-ops volte a suscitare il consenso
dell'opinione pubblica del cosiddetto «mondo libero» attorno alle
strategie finalizzate all'edificazione di un Nuovo Ordine Mondiale
ideologicamente improntato al neofascismo, all'atlantismo ed allo sfruttamento
capitalistico intensivo delle risorse, energetiche, ambientali ed umane del
Pianeta Terra.
Demistificare le menzogne
dell'Occidente e dei suoi cantori, degli aedi dell'«esportazione della
democrazia» e del «libero mercato» nei Paesi non-allineati al mondialismo
ed al cosmopolitismo liberal-borghese imperante, presuppone una critica
radicale quanto rigorosa dal punto di vista dell'approccio scientifico,
documentale e finanche teorico-ideologico, della filosofia della
disinformazione e della manipolazione, delle menti e dei corpi (la politica
come «dominio e controllo dei corpi» di schmittiana derivazione), della massa
in via di progressiva atomizzazione costituente il pericolante e, dal punto di
vista della psicologia sociale, paranoico, Occidente
«democratico».
[1] D. Losurdo, Che succede in Siria?, in http://www.sinistrainrete.info/estero/1350-domenico-losurdo-che-succede-in-siria.html,
28 aprile 2011.
[2] Cfr. D. Losurdo, Il revisionismo
storico. Problemi e miti, Laterza, Roma-Bari, 2002.
[3] Cfr. D. Losurdo, Stalin. Storia e
critica di una leggenda nera, con un saggio di Luciano Canfora, Carocci, Roma,
2008.
[4] R. Kagan, Paradiso e potere. America ed
Europa nel nuovo ordine mondiale, Mondadori, Milano, 2003.
[5] Cfr. D. Losurdo, Il linguaggio
dell'impero. Lessico dell'ideologia americana, Laterza, Roma-Bari, 2007.
Abraço amigo a ti e Cristina! Paz e Luz!!!! Almira Lima
ResponderExcluirObrigado, querida Almira. Beijos nossos com grande carinho.
ResponderExcluirGrande Oscar. Homen Justo!
ResponderExcluirObrigado pelas generosas palavras, querido amigo Daniel.
ResponderExcluir